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Il sogno


La solitudine, bisogna essere molto forti per amare la solitudine.

Pier Paolo Pasolini

Alessandro, a volte nel tuo lavoro ho visto esseri dalla forma umana, creature calate in un sonno senza sogni.
Un sonno opaco dalla natura misteriosa, che è forse solo un momento di una metamorfosi.
Oppure è il sonno che permette di entrare in noi, proprio attraverso la porta senza difese che è il dormire.
Allora le creature senza nome ci obbligano a restare svegli, a vigilare, a non scivolare nel torpore, a non farci prendere.
Eppure, sotto sotto, c’è anche qualcosa di rassicurante nel sonno e i corpi possono suscitare un processo di identificazione.
Comunque non sono dei morti, sono tra la vieta e la morte, in un eterno presente.

I corpi riportano alla sostanza dell’esistenza umana, il corpo fatto di volume,
ma in senso più giocoso l’avere un peso sullo stomaco.
È soprattutto il corpo inteso come pensiero,
perché questa parola discende dal latino ‘pensare’ come ‘pesare’, misurare.
Davanti a noi stanno dunque esseri ignoti ‘pesanti in quanto pensanti’ (o viceversa).

Ma nonostante le possibili spiegazioni, questo lavoro mi comunica una sorta di inquietudine
che non ha nulla di rassicurante. Nello stesso tempo le tue sculture si sono poste in modo perentorio
come riflessione sul contemporaneo, provocando una reazione che oscilla tra la fuga in un sonno
che possa proteggerci dagli orrori della realtà e l’obbligo a restare svegli.
Ma questa veglia, questo restare con gli occhi aperti mi (e ci) stravolgono.

Il tuo lavoro è basato sulla caducità: mentre i corpi dormono, o forse sono già morti,
la morte passa imperiosa cancellando il vano tentativo di fuggire da questo mondo.
Costringendo a chi guarda a interrogarsi sui fatti più banali, sui sentimenti più comuni
che rischiano però di estinguersi per sempre,
di scomparire dal mondo mentre tutti dormono, si fanno addormentare.

Memmo Giovannini