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L’occhio del testimone


Non si possono condurre gli uomini al bene.
Si possono condurli solo in qualche luogo.
Il bene è al di fuori dello spazio e dei fatti.

Ludwing Wittgenstein

Alessandro Baronio ha una storia complessa e profonda tutta incentrata sul tema della nascita e della morte,
il sottinteso della vita si allenta ma non scompare mentre si fa prevalente l’ossessione della sofferenza
e della mancanza di speranza dei più deboli. Il corpo è sempre vulnerabile agli attacchi esterni
e la volontà non può nulla rispetto al volto violento del potere. Nelle sue sculture le masse sono raffigurate
come prive di espressione, pronte a subire a capo chino il loro inevitabile destino.

Lo sguardo di Alessandro Baronio incarna e rappresenta una costante dichiarazione di innocenza e affermazione
di coscienza priva di complicità verso i carnefici. Ma i primi sono tali a causa della loro mancanza di volontà
e di forza nel resistere, che si traduce in un’abdicazione rispetto al proprio essere.
Al tempo stesso Baronio è disturbato dalla forza soverchiante del potere.
La sua risposta alla tirannia della violenza è la sua personale testimonianza di artista,
la ragione più profonda della sua arte: non a caso il suo lavoro l’ho definito “l’occhio del testimone”.

Negli ultimi anni, dopo avere a lungo esposto il suo doloroso tormento interiore all’occhio del pubblico,
Baronio segna un punto di svolta nella sua opera.

Le sculture sono di grandi dimensioni.  Maschere di dolore oppur di convenienza.
Attorno alla scultura spoglia di ogni elemento umano, è il nulla.
Lo sfondo è piatto, quasi sempre monocromo, ed ognuna contiene un corpo la cui faccia ci sfugge,  è  nascosta.

La maschera, che pure nega il volto di ognuno,
rappresenta tuttavia un’identità molto forte e si trasforma in uno strumento potente di affermazione dell’individuo.
Assumendo un ‘volto pubblico’, l’anima dell’artista ha più potere. Ora egli può entrare nell’arena della vita sociale,
nascondendo la propria passività di ‘torturato’, egli è ora in grado di agire e di inter-agire come essere ‘sociale’.

Aggressività e falsità  sono apertamente denunciate dalla maschera in modo palese, inequivocabile.
Il mondo è diventato teatro per i giochi di potere e i personaggi raffigurati nelle sculture
di Baronio ne sono i protagonisti, gli attori principali.
Il prezzo pagato è la coscienza individuale di ognuno.
Cercando una forma di salvezza si trova una via di crudele isolamento dell’anima che si ‘maschera’
in una forma di autodifesa che finisce per alienare l’individuo dalla comunità di coloro che soffrono.

Che l’anima sia sanguinante ma resista, dolente e nascosta, ridotta ai minimi termini dietro la maschera,
è rivelato dalle mani, dal collo, dalla parti in vista che appaiono come ‘escrecenze’ mostruose,
testimoni del mondo della sofferenza tanto familiare a Baronio. Forse proprio a queste mani nude leggiamo
la sottile metafora dell’Italia dei nostri anni, la cui maschera efficientista e ‘sviluppista’
non può nascondere le stragi e la sofferenza della gente comune.

Nonostante l’adorazione della maschera come ambiguo strumento di difesa, lo scultore pare suggerirci
in modo sconfortato che la violenza può essere solo imbrigliata, non domata. Baronio ci ricorda che
l’ansia dell’essere non si placa facilmente. Ogni scultura denuncia l’angoscia interna di ognuno.
Così rimangono i nervi esposti, ultimi terminali dell’anima.

Memmo Giovannini